Artisti
e artigiani: Lo scopo di questo
piccolo “trattato” è di avvicinare quanti sono interessati alla pittura a tempera, in particolare alla tempera
all’uovo, senza però avventurarci nell’impresa di voler insegnare
la tecnica pittorica.
L’intento
di chi scrive è quello di contribuire al recupero di un’arte che
ritrovi una dimensione “popolare”, anche attraverso la riscoperta
delle tecniche e dei materiali propri della tradizione artistica dei
secoli passati.
La
pittura a tempera non è solo una tecnica artistica storica, è qualcosa
di più profondo, sopratutto in questa epoca in cui la vita umana, e di
conseguenza anche la vita artistica, è scandita da ritmi frenetici.
Riscoprire questa antica tecnica è perciò anche un modo per
riconquistare l’autonomia dalla “fast art”, ovvero dall’arte
“veloce”, che impone l’uso di prodotti sintetici perché più
rapidi nella lavorazione, perché “moderni”. Si badi, questo non è
un discorso conservatore, in difesa di un mondo artistico che non c’è
più, ma una appassionata difesa delle capacità creative dell’artista
e della tecnica, perché come scrisse
De Chirico “Non bisogna dimenticare che la parola tecnica viene
dal greco Téchne che vuol
dire arte”. La tecnica è dunque lo strumento per la trasformazione
della materia grezza in materia artistica e nel contempo di
realizzazione dell’artista attraverso questa.
Come
cercherò di dimostrare nelle pagine che seguono, utilizzare materiali
naturali, sperimentare emulsioni, comporre medium e vernici è un modo
per riscoprire l’alchimista che si cela in ogni vero artista,
quell’alchimista che in questo caso individua la sua pietra filosofale
nella capacità di creare opere che possano sfidare il tempo e le
illusioni delle mode.
Le
pitture a tempera più antiche di cui abbiamo traccia in Italia sono
quelle risalenti al periodo etrusco (le decorazioni delle tombe
etrusche). Purtroppo non ci sono giunte quelle di origine ellenica, ma
sappiamo che in Grecia la tempera fu comunque usata, come fu usata la
tecnica dell’encausto (pigmenti mescolati a caldo con la cera). Anche
i romani conoscevano la tempera, come dimostrano alcune pitture
parietali pompeiane. Un esempio di raffinate pitture di epoca romana sia
ad encausto che a tempera è costituito dagli splendidi ritratti su
legno ritrovati in Egitto nelle necropoli della zona del Fayum (secoli I
- III d.C.).
La
tempera all’uovo fu usata nel periodo
bizantino, in prevalenza nella pittura delle icone, ma ebbe il
massimo fulgore nel Rinascimento, anche se la pittura a tempera dei
quattrocentisti non è generalmente ad uovo puro. Infatti era già in
uso un sistema di pittura, definito ad emulsione, dove all’uovo
venivano aggiunti olii, essenze e vernici. Lo stesso Cennini ci informa
nel suo trattato che si facevano mescolanze di colori con olio, ma che
questo era un lavoro molto faticoso. Non fu dunque Van Eych a introdurre
la pittura ad olio in Europa, perché l’uso dell’olio era già
acquisito da secoli, tanto che ne scrissero addirittura anche Plinio e
Vitruvio e successivamente nel Medio Evo Teofilo.
La
tempera che aveva caratterizzato la pittura italiana del Rinascimento,
fu lentamente soppiantata dalla cosiddetta pittura ad olio, benché
molti quadri della fine del ‘400, classificati nei musei come pitture
ad olio, siano nei fatti delle emulsioni a base d’uovo, rifinite con
velature a vernice ed olio. A questo proposito è significativo vedere
presso la Galleria nazionale d’arte antica di Roma di Palazzo
Barberini, come due opere di uno stesso artista del ‘400 siano state
catalogate differentemente: la prima come pittura a tempera e la seconda
come pittura ad olio, quando nei fatti si tratta di emulsioni a base
d’uovo in entrambe i casi.
La
tempera nei secoli successivi al Rinascimento fu spesso adoperata come
base per le pitture ad olio. Ricordiamo Ad esempio nell’ottocento
italiano la tempera del Fontanesi a base di tuorlo e gomma arabica. Con
questa tempera Fontanesi abbozzava i dipinti che poi ultimava a
olio, la sua ricetta fu utilizzata in epoca successiva dal pittore Carlo
Carrà che ce l’ha tramandata. Hanno inoltre lavorato con la tempera
all’uovo ed emulsioni famosi artisti come: Boecklin, De Chirico,
Annigoni e molti altri.
Per
tempera - o come si diceva in italiano arcaico “tèmpra” - si intende il
modo con cui mescolare e far solidificare il colore attraverso l’uso di alcuni
ingredienti. Il vocabolario della lingua italiana Zingarelli così definisce la
tèmpera o tèmpra: “mescolanza di
colori nella colla o nella chiara d’uovo, per dipingere su legno, gesso, tela
e più specificatamente per le scene e decorazioni teatrali”. Qui sono
indicati come veicoli la colla e la chiara dell’uovo. In realtà si commette
un profondo errore, perché la chiara non è affatto l’elemento base della
vera tempera all’uovo, come fa ben notare anche Eric Hebborn nel suo libro
“Il manuale del falsario”. La tempera alla chiara d’uovo fu invece
largamente usata per la miniatura e per i messali, nonché come vernice finale
provvisoria, sfruttando la sua rapida capacità di essiccamento e indurimento.
Tempera
o gouache? Nel corso del
novecento il termine “tempera” ha perso il suo originario significato.
Spesso recandoci dal nostro coloraio di fiducia sentiamo qualche studente - ma
anche molti professionisti - chiedere: “ vorrei qualche tubetto di tempera”.
In realtà costoro non chiedono dei colori a tempera, ma dei colori per gouache
( o per guazzo come si diceva un tempo). C’è una sostanziale e considerevole
differenza tra tempera e gouache che intendiamo illustrarvi brevemente al fine
di eliminare ogni equivoco.
La pittura a
guazzo o gouache, fu nei secoli scorsi molto utilizzata, sopratutto in Francia,
per l’esecuzione dei bozzetti preparatori per i lavori ad olio. Ma la sua
diffusione è avvenuta a partire dall’ottocento, con il suo largo impiego
nella cartellonistica pubblicitaria. Consiste nell’uso di pigmenti mescolati
con colla, o gomma arabica (un tempo prevalentemente con la gomma dragante), e
pigmento bianco ( in genere un bianco gessoso, costituito da carbonato di
calcio, come il bianco comunemente chiamato a Roma “bianco medò”,
storpiatura dialettale del cosiddetto bianco di Medoun. La caratteristica del
gouache è che si abbassa notevolmente di tono, dopo che il colore si è
asciugato.
La comodità
del gouache risiede nella rapidità con cui si può lavorare, specialmente
quando occorre dipingere soggetti destinati alla riproduzione tipografica
(cartelli pubblicitari, manifesti ecc.), che grazie al breve tempo di
lavorazione e alla caratteristica opacità, ben si adattano alla riproduzione
tipografica e anche alle sollecitazioni del committente, che generalmente
pretende il prodotto finito per il giorno precedente alla commissione!
La
tempera a colla La
tempera a colla ha avuto largo impiego in particolare nell’ambito della
decorazione di pareti e più recentemente per la scenografia. La preparazione di
questa tempera avviene mescolando i pigmenti con colle animali (colla di
coniglio, colla di pesce, colla gelatina). La caratteristica positiva di questa
tempera è la grande luminosità, ma la materia è piuttosto fragile e inoltre
soggetta a lasciare macchie asciugandosi. Per le opere pittoriche si adatta in
prevalenza per piccoli formati. La tempera a colla si prepara facilmente
mescolando i pigmenti con colla gelatina o di coniglio sciolta in acqua calda.
Purtroppo i toni di questa tempera mutano notevolmente dopo che il colore si è
asciugato. Si possono fare delle buone tempere anche con la colla di farina, di
questa tempera troverete la ricetta più avanti.
La
tempera a cera: Questa
pittura è un sistema misto tra l’encausto e la tempera. Una sorta di encausto
a freddo. Nel Medio Evo fu sperimentata l’introduzione della cera e delle
resine nella pittura a tempera. E’ certo che produce una pittura molto
resistente anche all’umidità. Per poter utilizzare questa tempera si doveva
rendere la cera miscibile con l’acqua e per tale scopo veniva utilizzata la
calce in funzione di alcale. In età moderna si è utilizzata allo stesso scopo
l’ammoniaca.
La
tempera all’uovo:
La tempera
dei quattrocentisti italiani ci è stata tramandata grazie al “Libro
dell’arte” del pittore e
scrittore d’arte Cennino Cennini (1370-1440). In questo trattato l’autore
descrive come gli artisti del tempo preparavano i supporti sui quali dipingere,
come dipingevano, e particolarmente - per quello che interessa a noi - come si
faceva la tempera (capitolo LXXII).
Il Cennini
spiega che ci sono due maniere di fare la tempera, una migliore dell’altra. La
prima consiste nel battere il tuorlo d’uovo con le mozzature dei rami di fico.
Il liquido che fuoriesce dai giovani ramoscelli tagliati va mescolato al tuorlo
d’uovo in quanto ritarda l’essiccazione dei colori sulla tavolozza,
favorendo la coagulazione e la conservazione dell’uovo, pare inoltre che abbia
un’azione antisettica.
Il secondo
metodo indicato dal Cennini per fare la tempera è quello di mescolare il solo
rosso d’uovo con i colori, e questa tempera è per l’autore buona per
dipingere su qualsiasi superficie: muro, tavola o ferro.
Se avete
possibilità di visitare un museo o una chiesa che custodisce tavole del
quattrocento, potrete notare come il colore fosse steso per sovrapposizioni e
rifinito a tratteggio finissimo. Ovviamente questa pittura richiede grande
pazienza e destrezza, che si acquisiscono con l’esperienza diretta, la cosa più
importante è non scoraggiarsi se i risultati iniziali non sono soddisfacenti,
perché come si dice a Roma: “nessuno è nato imparato!”.
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